sabato 30 novembre 2013

Plush: carpe diem!


Ore 02:07, costretta a casa da una spossante eruzione cutanea, dopo un bel tergiversare mi sono messa a letto e ho scelto di vedermi un film: giapponese, sottotitolato, storie di geishe. Il suddetto è Sakuran, del 2007, tratto da una serie manga dell’autore nipponico Moyoco Hanno. Ho scelto di vederlo perché mi intrigava la storia, ma più ancora i colori: pieni, fulgidi, corposi, si destreggiano tra mille fantasie e disegni. Ricordano molto quelli di Almodòvar e della sua Spagna, con la differenza che qui siamo dalla parte opposta del globo. Anche le tematiche gli sono vicine: prostitute, amori folli, poca ironia e troppo contegno invece distaccano il film dalla poetica dell’ispanico regista.

Che guida!


Aspetto  Joana, sono in auto, è tardi. La visita sarebbe iniziata di lì a mezz’ora. Davanti a noi il traffico di Firenze delle 17:30 di martedì. C’è da scegliere se prendere i viali o passare per il piazzale Michelangelo, optiamo per il piazzale. Ovviamente la scelta è sbagliata, sono le 18:00 quando riusciamo a parcheggiare l’auto di straforo vicino a Porta Romana e decidiamo di andare a piedi, fino a Villa Bardini. Venti minuti di camminata a passo svelto tra i bus, la gente, le macchine, i negozi e le sorprese di Firenze. Per la strada qualche metro prima di entrare per la visita mi blocco davanti ad un carinissimo laboratorio di ceramica. -Mi fermerò dopo se è aperto- mi dico, e proseguo per la salita. 



Arriviamo che la guida già ha iniziato a spiegare. Parla velocemente, ma con decisione e senza mangiarsi le parole, la sensazione che trasmette è a metà tra fretta di concludere e voglia di far vedere quanto è brava. Perché si, è brava, e lo sa anche lei. Io sudata, con la nuova borsa in pelle sotto braccio, terminata quel pomeriggio e fatta recuperando gli scarti di un mio precedente lavoro, tiro fuori penna e blocchetto e inizio a prendere appunti.

venerdì 29 novembre 2013

Il potere della fotografia

Mi sono chiesta per giorni quale fosse il modo migliore per inaugurare questa sezione del blog, interamente dedicata alla “fotografia”, una materia sin dai suoi albori oggetto di infinite discussioni, teorie, controversie e considerazioni. Essa rappresenta invero un tema vastissimo, meritevole di riflessioni e approfondimenti, soprattutto al giorno d’oggi, dove la diffusione del digitale ha reso la fotografia non soltanto un mezzo accessibile pressoché a tutti, esperti o dilettanti, ma anche una presenza costante nella nostra quotidianità (vedi la condivisione sfrenata di immagini sui social network, il proliferare di applicazioni dedicate al fotoritocco per gli smartphone, la possibilità di scattare un numero illimitato di immagini in assenza di un supporto materiale come la pellicola) e che ha finito per influenzare il modo stesso di approcciarsi alla vita.
 
Il caso ha voluto che il numero di ottobre della rivista National Geographic presentasse in allegato il catalogo della mostra in corso a Roma al Palazzo delle Esposizioni (“La Grande Avventura”, 28 settembre 2013 – 2 marzo 2014) e fosse corredato di interessanti articoli aventi per tema il potere della fotografia. Da qui ammetto dunque di aver tratto un importante spunto di riflessione per scrivere il mio.



Qual’è dunque – quali sono – “i poteri” della fotografia?

Il primo, il più evidente, è la sua innegabile capacità di congelare momenti irripetibili - e con essi, tutto ciò che è “partecipe” di quel momento - persone, luoghi, eventi destinati a non ripetersi, a scivolare nel ricordo: frammenti di vita soggetti, come del resto la vita stessa, all’impermanenza, all’evanescenza, alla dissoluzione. Così i nostri album sono pieni di foto ricordo, testimoni di dolci memorie passate in cui spesso finiamo per crogiolarci nostalgicamente: quanti di noi non hanno mai scattato una fotografia con il deliberato intento di realizzare una cartolina-ricordo, pensando “questo è un momento da non dimenticare...” e prevedendo già il malinconico abbandono da cui in seguito ci saremmo lasciati avvolgere, posando lo sguardo su certe immagini?

Mi sono chiesta dunque se questo atteggiamento non possa forse contenere in sé, seppur in modo sottile, anche dei lati negativi: non saremo forse diventati incapaci di vivere pienamente il momento presente, dato che inconsciamente siamo portati a voler registrare e documentare ogni istante, ogni avvenimento in modo maniacale e compulsivo, per i “posteri”, per la consolazione dei noi del futuro? Certo è che esiste per contro una fotografia votata alla poetica dell’istante decisivo, quella di Cartier-Bresson per intenderci, dove essenziale è la capacità di sostituire il mirino al proprio sguardo, per riuscire così a cogliere in uno scatto un istante decisivo, che da allora in avanti resterà incorniciato e si ripeterà uguale all’infinito: questione di attimi, di impercettibili movimenti o espressioni del volto che l’occhio umano non sarebbe in grado di registrare senza il supporto del mezzo fotografico.
 
Henri Cartier-Bresson



Tuttavia la fotografia trasmette a mio parere un altro grande insegnamento: nel ritornare nello stesso luogo più volte - come fa notare il grande maestro del colore, Steve McCurry, costantemente alla ricerca dello scatto migliore – in presenza delle più disparate condizioni atmosferiche, stagionali o di luce, nella capacità di assaporarlo, gustarlo intensamente anche nelle diverse sfumature che lo caratterizzano, io intravedo un possibile ritorno al saper apprezzare in ogni suo mutamento, in ogni suo aspetto, nella sua totalità la vita stessa.


In quanto mezzo che contiene implicitamente la capacità di riprodurre fedelmente la realtà (non dimentichiamoci tuttavia che le immagini possono essere costruite, ritoccate), la fotografia permette di documentare, e quindi di denunciare o celebrare, di sensibilizzare in certi casi l’opinione pubblica: non a caso, infatti, la copertina del suddetto numero di National Geographic riproduce il famosissimo ritratto di Sharbat Gula, incontrata dal già ricordato Steve McCurry in un campo profughi del Pakistan nell’1984.



Sebastião Salgado, Genesis


Le fotografie dunque ci permettono di conoscere realtà lontane, spesso molto diverse, fino ad allora inimmaginate e da noi quindi inesplorate; ogni novità di qualsiasi tipo con cui entriamo a contatto, più o meno direttamente, può rappresentare a mio parere un ottimo spunto per l’arricchimento personale, per una riflessione profonda, ad esempio, sul senso della vita e delle altre esistenze che ci circondano, sulla convivenza nel mondo di realtà spesso agli estremi, sulle condizioni in cui versa il nostro pianeta: così mi perdo ad ammirare con trasporto le fotografie in bianco e nero di Sebastião Salgado, che con il suo progetto "Genesis" (da febbraio ai Tre Oci di Venezia) si è proposto di documentare ciò che nel mondo è ancora puro, selvaggio, incontaminato, e per questo bisognoso di protezione; mi ricorda molto il progetto “Mission héliographique” del 1851 - cui partecipò, tra gli altri, Gustave le Gray - il cui scopo era quello di documentare i monumenti francesi da salvare e restaurare. Oppure le fotografie di Tim Laman, dai colori brillanti, che corredano il servizio sugli uccelli del paradiso nel numero di National Geographic di dicembre 2012, e ancora mille altre foto che non possono non spingere a chiedersi: quanta bellezza è presente intorno a noi? – ma anche disastri, disperazione, guerre e dolori, cambiamenti climatici in atto e via dicendo.  


Gustave le Gray, "La Mission Héliographique", 1851


La fotografia, più della semplice parola scritta, può aiutare nella sensibilizzazione del mondo ai problemi che lo pervadono, la potenza di un’immagine è innegabile: se malgrado il progressivo disfacimento dei rapporti tra l’uomo e i suoi simili, tra l’uomo e la natura, continuiamo a meravigliarci con stupore infantile dinanzi a certi scatti che celebrano le bellezze – o condannano le atrocità – del mondo, è auspicabile intravedere in questo atteggiamento una possibile strada verso la riconciliazione con la natura, l’uomo, la vita stessa.
 
 
 


Steve McCurry documenta le conseguenze della guerra del Golfo
(anche sulla natura), nel 1991

giovedì 28 novembre 2013

Joining glob-arts


Perchè ho deciso di unirmi a Glob-Arts?

In realtà non l'ho proprio
deciso, è una cosa che è venuta da sé.
É nata l'idea di aprire Glob-Arts, mi è stato chiesto di partecipare e mi sono detta.. perchè no?

Trovo molto divertente l'idea di avere uno spazio dove scrivere tutto quello che mi passa per la testa. In più, accompagnata da altre quattro donzelle, mi è stata data la possibilità di scegliere un argomento tutto mio, meglio di così.

In questa mia
rubrichetta scriverò di curiosità, di esperienze passate, di escursioni, di luoghi che voglio visitare o che ho già visitato. Scriverò di qualcosa che semplicemente mi ha pizzicato la mente. Il tutto condito con la salsa che ho scelto, un tema ricorrente per me: la natura e tutto ciò che ne fa parte. Dall'essere più grande al microrganismo più piccolo. That's easy.

A volte troverete articoletti, altre volte impressioni, oppure video, immagini e fotografie.

Ci sarà un po' di tutto, a modo mio.
Hope you enjoy it.



mercoledì 27 novembre 2013

SCHIACCIATA ALLA FIORENTINA A MODO MIO


Schiacciata alla Fiorentina




INGREDIENTI:
  • 2 Uova
  • 8 Cucchiai di Zucchero
  • 14 Cucchiai di Farina
  • 10 Cucchiai di Latte
  • 7 Cucchiai di Olio d'Oliva
  • 1 Arancia (succo e scorza)
  • 1 Bustina di Lievito
  • Noci q.b
Mescolare le uova con lo zucchero. Poi aggiungere la farina, l'olio d'oliva, il latte, il succo d'arancia e la scorza, le noci tritate e il lievito. Versare il composto in una forma rettangolare e infornare a 180° per 20-30 min. Completare con lo zucchero a velo e cacao.
A piacere potete farcirla con della nutella, la marmellata d'arancia o quella di albicocche (come ho fatto io).
Buon Appetito a Tutti!! Xx

ANCORA TI CHIAMANO CITTA' DELLE MERAVIGLIE


Trovare un argomento perfetto per iniziare la mia sezione del blog è impossibile, allora ne approfitto per parlare di Firenze; visto che è anche la città in cui tutte e noi cinque (Angela, Costanza, Giulia, Luisa e Io) viviamo.

Cattedrale di Santa Maria del FIore e opera di Zhang Huan

Una città in cui basta alzare gli occhi al cielo per immergersi nella culla del Rinascimento per eccellenza, questo vede la luce nei primi anni del Quattrocento e si caratterizza per un nuovo modo di pensare e di concepire l'uomo e il mondo. 

Non si può parlare di Rinascimento e non nominare la Cattedrale di Santa Maria del Fiore con la sua famosissima cupola di Brunelleschi del 1418. E' una copertura in muratura, fino ad ora la quinta più grande d'Europa. La stessa copertura venne riproposta per la cupola della Basilica di San Lorenzo, progettata anch’essa da quest'ultimo nel 1421 per ordine della famiglia Medici. All'interno di essa ritroviamo opere di Michelangelo e Donatello.

Di fronte alla Cattedrale troviamo anche il Battistero di San Giovanni Battista, patrono della città. Ha uno stile architettonico romanico e si caratterizza dalle tre famose porte: Porta Sud, del medioevo, di Andrea Pisano suddivisa in 28 formelle che raccontano la vita di San Giovanni Battista; Porta Nord di Ghiberti, anche essa suddivisa in 28 formelle con le storie del Nuovo Testamento; l'ultima ma non minore per bellezza è la Porta del Paradiso che si trova di fronte al Duomo, sempre di Ghiberti e racconta invece il Vecchio Testamento. Importanti sono anche i mosaici della copertura del Battistero.

Santa Maria Novella, con la facciata di Leon Battista Alberti, è un altro armonioso capolavoro. Una basilica domenicana con all'interno opere di Masaccio, Ghirlandaio, Filippo Lippi, Paolo Uccello. E ancora Santa Croce: una chiesa Francescana realizzata nel gotico, all'interno ospita sepolture di personaggi come letterati, religiosi, politici, teologi. Ha una copertura a capriate disegnata da Arnolfo di Cambio. Santo Spirito, lo Spedale degli Innocenti, San Marco, Palazzo Pitti, Palazzo Vecchio, Villa Ruccellai, Palazzo Medici Riccardi, gli Uffizi e molte altre strutture rendono Firenze il gioiello del Rinascimento, tutte queste bellezze possono essere ammirate e fotografate dal Piazzale Michelangelo o, con un altra prospettiva, dal Forte Belvedere. Quest'ultima è una delle due fortezze realizzata per ordine dei Medici da Bernardo Buontalenti nel 1529.

Vista dal Piazzale Michelangelo
La cultura fiorentina oltre ad avere grandi opere e nomi come Brunelleschi, Vasari, Buontalenti, Ghiberti, Leonardo da Vinci, Donatello, Paolo Uccello e molti altri ha anche un ottima gastronomia. Come non ricordare il pane toscano senza sale, la bistecca alla fiorentina, i coccoli fritti, la pappa al pomodoro, la ribollita, la panzanella, il castagnaccio, la schiacciata alla fiorentina e lo zuccotto.

Vi lascio in compagni di alcune ricette che troverete nella sezione Food. Xx

http://glob-arts.blogspot.it/2013/11/schiacciata-alla-fiorentina-modo-mio.html
http://glob-arts.blogspot.it/2013/12/coccolati-con-i-coccoli.html


martedì 26 novembre 2013

La lotta di Guernica



Da poco sono stata a Madrid e meta obbligatoria è stata il Centro d'Arte Contemporanea Reina Sofia, conosciuto nel mondo per una sola grande protagonista: la Guernica.


[Un piccolo chiarimento: ci sono vari tipi di arte, vari modi di vederla, capirla e interpretarla. Io amo pensare che, da un punto di vista soggettivo, siamo liberi di innamorarci o meno di un artista e soprattutto di un'opera, a prescindere dalla sua importanza nel panorama globale e storico. Amo sentirmi libera di non apprezzare Picasso, senza per questo sminuire la sua grandezza o la mia opinione. Riconosco i ruoli e l'importanza di alcuni artisti, oggettivamente di Michelangelo non si può certo dire che sia stato un artistuccio da due soldi, ma mi piace pensare anche che chiunque si possa sentire libero di dire: "Mmm.. a me quel David non piace tanto". E dopo questo chiarimento torniamo a noi.]

Ammetto la mia colpa: io non amo Picasso.
Il mio primo vero incontro con lui risale alle scuole superiori quando il mio professore di storia dell'arte ci disse "questo è il più grande e importante artista del '900" ed io "mah, sul serio?". Poi, studiandolo, capii dove si mostrasse il suo genio, ma davanti alle sue opere continuavo a non emozionarmi. L'unica che mi catturava era la Guernica e volevo dare a me e all'artista un'ultima occasione per innamorarci.

Guernica, Picasso

È il 1937. Siamo a Guernica, cittadina spagnola. La guerra civile continua con violenza e vi partecipano anche l’aviazione tedesca e quella italiana, in aiuto a Franco (Franchismo in Spagna: http://it.wikipedia.org/wiki/Franchismo). La prima guerra mondiale non è molto lontana, ma le innovazioni fatte sono incredibili, tra queste vi sono gli aerei da guerra. La cittadina di Guernica, purtroppo, non ha trovato il modo di difendersi da essi e viene rasa al suolo.
Pablo Picasso ne rimane colpito.
Nel gennaio dello stesso anno è stato incaricato dalla Repubblica spagnola di realizzare un’opera esplicitamente politica, in quanto l'intento era propagandistico, della lunghezza di 7m per il Padiglione Spagnolo dell' Esposizione Mondiale di Parigi del medesimo anno. Le idee tardavano a definirsi perché secondo l’artista non rappresentavano al meglio la realtà spagnola. Poi avviene il bombardamento e Picasso decide che quello è il soggetto per lui. Desidera evidenziare la cattiveria della guerra e dei totalitarismi. Egli vuole mostrare quali costi umani sta pagando il suo popolo nella lotta per essere libero. Vuole realizzare una denuncia, che rimanga impressa nella mente di tutti, utilizzando bianco, grigio e nero vuole ricordare le fotografie ed i servizi che stanno documentando le vicende, così da creare un collegamento con la testimonianza dell’epoca.
L’opera è conclusa. Picasso non vuole lasciarla alla Spagna, che se la potrà riprendere solo alla morte di Franco.
Quando un ambasciatore tedesco la vede chiede all’autore “è lei che ha fatto questo orrore?” e lui risponde “no, è opera vostra”.

La storia che racconta è tragica. Ci sono donne con gli occhi a forma di lacrima che urlano, scappando dalla propria casa in fiamme, una abbraccia il figlio senza vita. Quest’ultima ci ricorda la figura della Pietà con la Madonna che tiene tra le braccia suo figlio Gesù ormai morto. È una scena straziante, che non può essere più viva di così. Si sente il suo pianto, la sua disperazione, il bambino con la testa riversa all'indietro e totalmente abbandonata non lascia spazio alla speranza.

Pietà, Michelangelo

Un’altra donna trascina la sua gamba gonfia verso un cavallo sventrato, intento in un lamento lancinante simboleggiato dalla lingua, che a me sembra un missile dalla punta affilata. La stessa che rivediamo nella mamma con il suo bambino e nel toro. Ma quello che più mi ha colpito di questo fattore comune è l’estraneità dell’animale simbolo della Spagna: se la madre ed il cavallo rappresentano un grido di dolore non misurabile, il toro sembra un animale senza anima. Tutti soffrono ma lui non si capisce cosa stia provando. Ed il mio pensiero è stato confermato dai disegni preparatori all'opera, in cui proprio tale animale sembra passeggiare sereno e indifferente in mezzo alla morte.


Guernica, Picasso (dettaglio madre e toro)

Tra i due quadrupedi c’è un tavolo su cui sembra volare (o forse cadere?) una colomba dall'aspetto poco celestiale. La pace è stata abbattuta. Sopra il cavallo, un lampadario a forma di occhio che riprende il tema della luce che una donna sta portando in mano, uscendo come se fosse un sogno, una nube, da una finestra. La sua luce si sprigiona da una lampada a olio, per ricordare che la guerra porta distruzione ed essa non ci aiuta a progredire, ma ci fa tornare indietro. L’occhio – lampadario è anche il vertice di un triangolo che riempie la parte centrale della composizione e che trova agli angoli di base la mano del soldato e il piede della donna sofferente. Del soldato ne rimane solo qualche brandello e sopra la sua mano un fiore, è quasi trasparente ma si fa sentire, come un qualcosa di vibrante, che subito ti chiama e cattura, provando a dare qualche segno positivo: forse una speranza c’è ancora. 

Guernica, Picasso (dettaglio braccio di soldato con fiore)

Me ne sono innamorata? No. È tutta colpa dell’opera? No! Questo è il tasto dolente. Sono una grande estimatrice dei musei e dei luoghi adibiti alla conservazione della cultura e alcuni di essi fanno un lavoro straordinario. Ma ci sono opere e opere, cultura e cultura. Inserire la Guernica in una sala è senza dubbio il miglior modo di esporla in sicurezza, ma le toglie la forza. La mia impressione è che l’opera volesse urlare e vivere, ma non le è stato concesso di farlo. Sala giustamente dedicata solo a lei che è così grande, ma che sembrava essere in gabbia. Dovrebbe essere una denuncia, non consideratemi blasfema, ma io la vedrei in un’ambientazione urbana in cui non mitizziamo l’opera, ma la viviamo, le diamo un respiro e la sentiamo con tutta la sua voce.

Centro d'Arte Contemporanea Reina Sofia (sala)

Chiacchieriamo

Per presentarvi quello che vorrei fare e ciò che mi piacerebbe poter condividere con voi, voglio tentare una chiacchierata a cuore aperto, vediamo che ne esce fuori!

Hanging Heart, Jeff Koons (dettaglio)

Vorrei parlarvi di ARTE. È un argomento a cui tengo molto forse perché non sono un’artista e dunque mi affascina ciò che non so fare, o perché amo le idee nuove, così come i cambiamenti della società; forse perché mi piace leggere la storia ed i costumi nelle diverse epoche attraverso delle immagini più che attraverso i libri; forse perché adoro gli enigmi e le opere d’arte sono quelli più intriganti (anche perché spesso non hanno soluzioni) o ancora perché mi piace vedere fino a dove si spinge la fantasia umana se la lasciamo libera di esprimersi o se è imbrigliata in regole e pregiudizi. 
Per me tutto è arte, dai videogiochi, ai dipinti intrappolati nei musei, all’architettura che ci accompagna per le città, alla cucina fino ai vestiti e ai piccoli arredi per la casa come saliera e pepiera, che spesso si acquistano più per il loro design che per la loro praticità. È qualcosa che mi fa provare emozioni attraverso le forme ed i colori.
Ciò che vi racconterò in questo spazio però sarà dedicato agli artisti, diciamo, più tradizionali, quelli che sono entrati nei manuali di storia dell’arte, anche se mi riservo il diritto di fare qualche deviazione lungo il percorso!

L’opera in fotografia è Hanging Heart di Jeff Koons, definito l’artista americano di maggior successo dopo Andy Warhol. È colui che ha realizzato Lady Gaga per la copertina del suo ultimo album, non dimenticando la sua firma con una Gazing ball messa in posizione strategica.
 
 
Copertina album ARTPOP di Lady Gaga




Personalmente mi piace molto Koons perché alcune sue opere sono tanto semplici (prende oggetti e immagini molto comuni e riconoscibili) quanto belle e mi mettono allegria. L’idea di passeggiare per una città grigia e trovare per la strada delle vere sculture di palloncini giganti (fatte in acciaio inossidabile colorato) non mi dispiace affatto.

Ma l’apparenza inganna, nell’arte soprattutto, e la semplicità è solo apparente. Koons vede in alcune di queste forme più semplici qualcosa di più, che può superare gli anni ma contemporaneamente rappresenta il nostro tempo. Si tratta di opere la cui importanza è soprattutto nella riconoscibilità a livello universale del consumismo, oggi protagonista della nostra vita e società.

Alcuni credono che questa non sia arte, perché vogliono dipinti come quelli di Raffaello, ma ogni epoca e società è protagonista secondo i propri ideali e caratteristiche. Noi viviamo nell’era del consumismo, degli oggetti spesso frivoli e Koons li trasforma in arte perché sono la nostra realtà.


Balloon Dog, Jeff Koons





lunedì 25 novembre 2013

Giocando con l'Orlando

La mia seconda stagione alla Pergola si apre sotto cattivi auspici: incatenata a letto da una settimana per colpa della sesta malattia non ero sicura di poter andare a vedere il primo spettacolo ormai già prenotato. Armata di incoscienza e curiosità, combattendo a singolar tenzone contro la stanchezza, arrivo a teatro giusto in tempo per prendere il volantino della serata e lasciare il cappotto al guardaroba. Una volta trovati i posti io e mia sorella  ci sediamo e aspettiamo l’inizio, con la speranza di non cadere vittima di un attacco di tosse – o peggio di sonnolenza – dovuto alla mia influenza.


Giocando con l’Orlando inizia col regista che parla a noi con le luci ancora accese, è la prima nazionale e la tensione nell’aria si avverte, ma subito si crea una simbiosi: il contatto con il pubblico è diretto e intenso, caratteristica necessaria per instaurare un dialogo in rima. Dunque quest’anno si ha una presenza maschile accanto ad Accorsi, anziché l’attrice francese, pure la scenografia è cambiata: parallelepipedi di legno scuro creano palchi e scalini, dividono lo spazio in scene diverse, quasi dovessimo tornare nelle piazze italiane per assistere ad una sacra rappresentazione.

Colpisce ovviamente il recitare, che lento si trasforma da chiacchierata intima tra gli spettatori ed il regista in conversare rimato e ritmato dai tempi dell’Ariosto, si perché i nostri attori Accorsi e Baliani riprendono la storia dell’Orlando Furioso e ce la narrano in versi, con tutta l’atmosfera catartica che ciò comporta. Improvvisamente si illumina il palco per intero e vediamo dei cavalli sul fondo piantati in terra con robusti pali alti almeno due metri e mezzo, a chiudere la scena, sono colorati, imbizzarriti, in movimento: e così abbiamo la nostra giostra.

Manifesto del Teatro della Pergola - All Rights Reserved

Perché aprire questa rubrica?

 Bella domanda, forse perché uno dei modi meno pericolosi che ho per dire la mia al mondo intero è scrivere, e forse perché farlo attraverso le immagini, i suoni e le allegorie che altri hanno sviluppato è più semplice. Vi parlerò di molte cose, that’s entertainment, il titolo che ho scelto, riassume tutta una serie di elementi che messi insieme fanno appunto l’Intrattenimento. Il film da cui ho preso spunto, lo devo ammettere, ancora devo vederlo, e sicuramente gli riserverò un articolo e condividerò con voi le mie impressioni.

That's Entertainment! III

 Andiamo adesso a vedere cosa intendo per intrattenimento: è stare da sola in camera e vedermi un film introvabile in lingua madre con i sottotitoli in italiano sfalsati e rimanere poi delusa alla fine dello stesso (alludo a Sleeping Beauty, non mi è piaciuto molto, bellissima la protagonista, va visto solo per lei).