martedì 26 novembre 2013

La lotta di Guernica



Da poco sono stata a Madrid e meta obbligatoria è stata il Centro d'Arte Contemporanea Reina Sofia, conosciuto nel mondo per una sola grande protagonista: la Guernica.


[Un piccolo chiarimento: ci sono vari tipi di arte, vari modi di vederla, capirla e interpretarla. Io amo pensare che, da un punto di vista soggettivo, siamo liberi di innamorarci o meno di un artista e soprattutto di un'opera, a prescindere dalla sua importanza nel panorama globale e storico. Amo sentirmi libera di non apprezzare Picasso, senza per questo sminuire la sua grandezza o la mia opinione. Riconosco i ruoli e l'importanza di alcuni artisti, oggettivamente di Michelangelo non si può certo dire che sia stato un artistuccio da due soldi, ma mi piace pensare anche che chiunque si possa sentire libero di dire: "Mmm.. a me quel David non piace tanto". E dopo questo chiarimento torniamo a noi.]

Ammetto la mia colpa: io non amo Picasso.
Il mio primo vero incontro con lui risale alle scuole superiori quando il mio professore di storia dell'arte ci disse "questo è il più grande e importante artista del '900" ed io "mah, sul serio?". Poi, studiandolo, capii dove si mostrasse il suo genio, ma davanti alle sue opere continuavo a non emozionarmi. L'unica che mi catturava era la Guernica e volevo dare a me e all'artista un'ultima occasione per innamorarci.

Guernica, Picasso

È il 1937. Siamo a Guernica, cittadina spagnola. La guerra civile continua con violenza e vi partecipano anche l’aviazione tedesca e quella italiana, in aiuto a Franco (Franchismo in Spagna: http://it.wikipedia.org/wiki/Franchismo). La prima guerra mondiale non è molto lontana, ma le innovazioni fatte sono incredibili, tra queste vi sono gli aerei da guerra. La cittadina di Guernica, purtroppo, non ha trovato il modo di difendersi da essi e viene rasa al suolo.
Pablo Picasso ne rimane colpito.
Nel gennaio dello stesso anno è stato incaricato dalla Repubblica spagnola di realizzare un’opera esplicitamente politica, in quanto l'intento era propagandistico, della lunghezza di 7m per il Padiglione Spagnolo dell' Esposizione Mondiale di Parigi del medesimo anno. Le idee tardavano a definirsi perché secondo l’artista non rappresentavano al meglio la realtà spagnola. Poi avviene il bombardamento e Picasso decide che quello è il soggetto per lui. Desidera evidenziare la cattiveria della guerra e dei totalitarismi. Egli vuole mostrare quali costi umani sta pagando il suo popolo nella lotta per essere libero. Vuole realizzare una denuncia, che rimanga impressa nella mente di tutti, utilizzando bianco, grigio e nero vuole ricordare le fotografie ed i servizi che stanno documentando le vicende, così da creare un collegamento con la testimonianza dell’epoca.
L’opera è conclusa. Picasso non vuole lasciarla alla Spagna, che se la potrà riprendere solo alla morte di Franco.
Quando un ambasciatore tedesco la vede chiede all’autore “è lei che ha fatto questo orrore?” e lui risponde “no, è opera vostra”.

La storia che racconta è tragica. Ci sono donne con gli occhi a forma di lacrima che urlano, scappando dalla propria casa in fiamme, una abbraccia il figlio senza vita. Quest’ultima ci ricorda la figura della Pietà con la Madonna che tiene tra le braccia suo figlio Gesù ormai morto. È una scena straziante, che non può essere più viva di così. Si sente il suo pianto, la sua disperazione, il bambino con la testa riversa all'indietro e totalmente abbandonata non lascia spazio alla speranza.

Pietà, Michelangelo

Un’altra donna trascina la sua gamba gonfia verso un cavallo sventrato, intento in un lamento lancinante simboleggiato dalla lingua, che a me sembra un missile dalla punta affilata. La stessa che rivediamo nella mamma con il suo bambino e nel toro. Ma quello che più mi ha colpito di questo fattore comune è l’estraneità dell’animale simbolo della Spagna: se la madre ed il cavallo rappresentano un grido di dolore non misurabile, il toro sembra un animale senza anima. Tutti soffrono ma lui non si capisce cosa stia provando. Ed il mio pensiero è stato confermato dai disegni preparatori all'opera, in cui proprio tale animale sembra passeggiare sereno e indifferente in mezzo alla morte.


Guernica, Picasso (dettaglio madre e toro)

Tra i due quadrupedi c’è un tavolo su cui sembra volare (o forse cadere?) una colomba dall'aspetto poco celestiale. La pace è stata abbattuta. Sopra il cavallo, un lampadario a forma di occhio che riprende il tema della luce che una donna sta portando in mano, uscendo come se fosse un sogno, una nube, da una finestra. La sua luce si sprigiona da una lampada a olio, per ricordare che la guerra porta distruzione ed essa non ci aiuta a progredire, ma ci fa tornare indietro. L’occhio – lampadario è anche il vertice di un triangolo che riempie la parte centrale della composizione e che trova agli angoli di base la mano del soldato e il piede della donna sofferente. Del soldato ne rimane solo qualche brandello e sopra la sua mano un fiore, è quasi trasparente ma si fa sentire, come un qualcosa di vibrante, che subito ti chiama e cattura, provando a dare qualche segno positivo: forse una speranza c’è ancora. 

Guernica, Picasso (dettaglio braccio di soldato con fiore)

Me ne sono innamorata? No. È tutta colpa dell’opera? No! Questo è il tasto dolente. Sono una grande estimatrice dei musei e dei luoghi adibiti alla conservazione della cultura e alcuni di essi fanno un lavoro straordinario. Ma ci sono opere e opere, cultura e cultura. Inserire la Guernica in una sala è senza dubbio il miglior modo di esporla in sicurezza, ma le toglie la forza. La mia impressione è che l’opera volesse urlare e vivere, ma non le è stato concesso di farlo. Sala giustamente dedicata solo a lei che è così grande, ma che sembrava essere in gabbia. Dovrebbe essere una denuncia, non consideratemi blasfema, ma io la vedrei in un’ambientazione urbana in cui non mitizziamo l’opera, ma la viviamo, le diamo un respiro e la sentiamo con tutta la sua voce.

Centro d'Arte Contemporanea Reina Sofia (sala)