lunedì 9 dicembre 2013

Servo per due


Eccomi di nuovo con un racconto dalla Pergola, altro appuntamento teatrale di questa rubrica, oggi vi parlerò dello spettacolo che ho visto giovedì 28 novembre scorso.

OneMan, Two Guvnors
Protagonista e regista è Pierfrancesco Favino, attore di bravura indiscussa nel panorama italiano, la rappresentazione è tratta da una commedia inglese del regista Richard Bean intitolata “One Man, Two Guvnors” del 2011, a sua volta adattamento da Carlo Goldoni de “Il servitore di due padroni”, 1745. Queste influenze le sentiamo entrambe: Bean trasuda dall’ironia e dalla comicità spontanea, sembra quasi di assistere ad una stand-up comedy in alcuni momenti, l’interazione col pubblico è continua, divertente e sì, anche irriverente. Goldoni è il file-rouge della narrazione perché in fondo il soggetto è quello di Arlecchino che, preso dalla smania della fame e deciso a non rimanere a stomaco vuoto, entra a servizio di ben due padroni, non essendo però un tipo molto sveglio sono molti gli incidenti e le disavventure che dovrà affrontare per giungere al lieto fine.


Non è una ripetitiva rielaborazione di elementi passati, come potrebbe sembrare, anzi Favino, insieme al co-regista Paolo Sassanelli, introduce una novità importantissima: l’ambientazione. Infatti gli eventi si sviluppano nella riviera romagnola, a Rimini negli anni ’30, precisamente nel 1936 come ci ricordano un paio di volte gli attori in scena, dunque non più nei palchi settecenteschi goldoniani, e neppure nell’Inghilterra degli anni ’60.


Elemento fondamentale per trascinare gli spettatori all’interno di un’epoca non poi così rosea per l’Italia (l’avvento del Fascismo negli anni ‘30 stravolgerà completamente la vita delle persone) è la musica: l’orchestra Musica da Ripostiglio, un gruppo di artisti grossetani, ci fa vivere con spensieratezza la grande era della canzonetta italiana, creando l’atmosfera perfetta. Sono proprio loro che ci accolgono quando ancora le persone stanno cercando posto a sedere, contrabbasso, banjo, chitarra e batteria attaccano a suonare, rimango un attimo interdetta dalle continue chiacchiere dei noncuranti che nemmeno si accorgono della melodia. Musica ancora per intrattenerci nei vari cambi di scena a sipario chiuso, sentiamo cantare di Maramao, delle gambe delle donne, della ragazza che vorrebbe avere il fidanzato e di molte altre hit dell’epoca. Durante queste performance musicali gli attori si cimentano in meravigliosi balli swing e charleston, in scenette comiche e intermezzi degni di un Carosello.


Appena si alza il sipario colpisce la scena per la ricchezza dei decori e la precisione filologica della ricostruzione storica: inferriate art decò, abiti perfettamente in linea con i tempi, nulla è dato per scontato; riferimenti al Futurismo ci vengono dal promesso sposo di Clarice, Amerigo, che interpreta un attore non proprio eccezionale il quale mira ad esprimersi con l’enfasi teatral-cinematografica degna di un film muto e promuove l’arte scattante, veloce, in movimento, assumendo sempre pose assurde e toni esasperati nei discorsi che intrattiene con chiunque. Il mondo ante guerra italiano ci appare chiaro come se non fosse passato neppure un giorno, a ricordarci la nostra epoca è invece il discorso di una ragioniera femminista riguardo al futuro glorioso che (lei pensa) aspetta le donne: diritto di voto, importanza politica e non più sfruttamento del corpo, ecco cosa vede lei negli anni a venire ma, ripensando a quanto sentiamo e a come viviamo oggigiorno sembra quasi sia cambiato poco o nulla.

 Diario delle prove - lettura a tavolino.

Come per la versione inglese anche questa commedia prevede il coinvolgimento del pubblico in due scene e quindi un certo grado di improvvisazione programmata: la prima volta vediamo Favino-Arlecchino scendere dal palco e aggirarsi nella platea in cerca di un paio di volontari, alla fine riesce a reclutare due ragazzi per aiutarlo sulla scena, tanto divertimento e risate a non finire. La seconda volta si ferma in seconda fila e trascina sul palco una donna, timida, impaurita, dopo una serie di peripezie durate un quarto d’ora buono sul palco lei finisce mezza bruciata, coperta di brodo e spruzzata completamente dalla testa ai piedi di schiuma. L’emozione e la sorpresa di noi spettatori è alle stelle, mi chiedo se fosse capitato a me come avrei reagito.

Diario delle prove - Le canzoni

Il primo atto si conclude con la ragazza che viene trascinata fuori da una assistente del retroscena, ma prima, da bravo pubblico onnisciente, prendiamo parte ad un esilarante pranzo nel quale i due datori di lavoro Rachele (che finge di essere il fratello gemello Rocco, venutole a mancare perché ucciso dallo spasimante di lei) e Ludovico (amante di Rachele, che ha ucciso Rocco durante una lite) stanno per essere serviti entrambi da Pippo (Favino), il punto è che nessuno dei due è a conoscenza dell’altro, e neppure sanno che il loro fido servitore sta facendo il doppio gioco. Vedendo Pippo uscire ed entrare dalle sale, affannandosi per consegnare le portate a Rachele e Ludovico, mangiando nel frattempo una buona parte del cibo, mi è venuta in mente la scena delle Follie dell’Imperatore quando Kuzco è travestito da donna e mangia nel ristorante con Pacha, contemporaneamente anche Izma e Kronk prendono posto in quel locale.


Si riprende con il secondo atto, ancora i nostri musicisti che ci accolgono con un mash-up di anni ’30 e Michael Jackson e se ne vanno dalla scena dopo un assolo di bacchette su pavimento, lampione e parete, scivolando lentamente nel… ripostiglio. Lo scopo adesso di Pippo non è più quello di trovare cibo, essendosi già lautamente rimpinzato durante il pranzo, bensì di provare a conquistare la ragioniera Zaira. Ancora tante risate: l’avvocato che imita il conte Mascetti nello sproloquio senza senso per destabilizzare le convinzioni della gente, Favino che si mette a parlare in toscano con un accento impeccabile, un delizioso intermezzo con sipario abbassato che lascia intravedere le gambe danzanti delle protagoniste, altra canzone terminante in uno slow-motion dove i musicisti escono di scena suonando a rallentatore.


Essendo una commedia tutto si risolve per il meglio e sulle note di Baciami Piccina, con un transatlantico contornato da lucine sullo sfondo, cala il sipario. Le impressioni sia immediate che postume sono delle migliori: un cast eccezionalmente bravo, due ore e mezzo che sembrano volare tra risate e canzoni. Mi sono veramente divertita, in assoluto uno degli spettacoli più simpatici che abbia mai visto, alla Pergola ed altrove. Tutto è in perfetta sintonia, impossibile rimanere delusi. 











PS: alla fine si scopre che la signora ricoperta di schiuma è un’attrice del cast, ci saluta anche lei sorridente, in accappatoio durante gli applausi finali, c’era da immaginarselo!

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