venerdì 20 dicembre 2013

Witkin invitato dai fratelli Alinari

10 Aprile 2013, sono passati parecchi mesi da quel giorno e la mia memoria si era completamente scordata di aver scritto qualcosa sulla mostra di fotografia allestita allora al Museo Nazionale Alinari. Durante una mattinata di pulizia di file e scartoffie digitali ecco sbucare queste mie parole sull’impressione di quell’incontro fotografico e che vorrei condividere con voi. Buona lettura!


Woman with small breasts, Witkin


Il Museo Nazionale Alinari della Fotografia di Firenze è ospite di mostre interessanti e grandi protagonisti, forse troppo poco visibili. Una chicca di uno dei centri storici più conosciuti al mondo. L’ospitato di questo periodo (21 Marzo – 24 Giugno 2013) è J. Peter Witkin, un fotografo da conoscere a piccoli passi, se non si è amanti della pura realtà spiattellata in faccia in modo creativo. L’arte di oggi, in cui la fotografia è diventata prepotente protagonista, richiede troppo all’osservatore, cultura forse, emozione tantissima. Witkin per me è stato un miscuglio di vari sentimenti e pensieri che non hanno deciso che opinione farsi del lavoro di questo artista, e probabilmente è proprio il giusto finale.

Prima di una mostra di cui non conosco il soggetto faccio qualche ricerca, per non arrivare sprovveduta e rischiare così di perdere un’occasione, ma anche per evitare sorprese a volte! Non ricerco tutta la biografia, ma giusto le informazioni che mi sembrano sufficienti. Tutta questa breve premessa per introdurre quello che secondo me è il concetto base di questo artista che spiega con grande impatto la potenza che l’arte può avere.
 

Untitled, Witkin

Witkin in tenera età ha subito un trauma, forse diventato tale più per la reazione di chi gli stava intorno. Infatti ha accolto tra le proprie mani e parole la testa di una bambina appena decapitata in un incidente stradale. Scena atroce non c’è dubbio. Immagino questo bimbo che prova a comunicare con la piccola per sapere come sta e viene portato via tra le facce sconvolte che gli fanno al meglio comprendere quanto sia potente quell’immagine. Ecco che l’ossessione comincia, quasi una ricerca per far sopravvivere un’emozione così viscerale, quasi a far accettare all’umanità che la morte c'è ed è con noi, così come il nostro corpo, che viene costantemente nascosto dai vestiti e dall'idea, così come i nostri difetti. Un impatto forte su supporto di pellicola graffiato, tagliato, lavorato, niente digitale, solo collage incredibili, in cui si sente l’odore della pelle troppo profumata, forse per nascondere qualcosa. 

“L'importante è che prima di volgere lo sguardo alle fotografie ci si soffermi sui titoli che le descrivono, perché è da lì che il lavoro è partito o è con quello che l'opera si è conclusa e ha preso il suo senso” 
(Witkin)


Prudence, Witkin

Quello che mi colpisce di più della mostra (oltre alla tecnica) sono le interpretazioni uniche di opere celeberrime, rivisitate in modo personalissimo dal fotografo (come la Venere di Botticelli trasformata in un’ ermafrodita dai seni femminili e gli attribuiti maschili). Qui sotto la rielaborazione de La Zattera della Medusa di Géricault.


The raft of George W. Bush, Witkin


La zattera della Medusa, Théodore Géricault


“Ogni opera che non nasconde mai un contenuto morale impone una riflessione profonda sul significato della vita” 
(Witkin) 

Sono andata alla mostra con l'intento di passare una piacevole serata in compagnia di pellicole e immagini, invece uscendo non posso fare a meno di riflettere, non solo sulla vita, ma anche sui nostri pregiudizi e modi di pensare, spesso troppo frivoli, spesso dimenticandoci le emozioni vere.

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