giovedì 30 gennaio 2014

能面 - Nōmen, l'arte in maschera

Nel mio ultimo articolo accennavo alla sessione di esami ancora in corso, perciò, adesso che è terminata, ho pensato bene di festeggiare così: condividendo con voi (una parte di) ciò che ho studiato per il mio esame di letteratura classica giapponese!!

Il corso che ho seguito durante il primo semestre era incentrato sulle forme di teatro giapponese, in particolare il Ningyō Jōruri (teatro dei burattini, oggi conosciuto come Bunraku) e il : quest’ultimo, che prevede l’uso di maschere, è forse il più conosciuto. Nato intorno al XIV secolo, affonda le sue radici in forme di spettacolo precedenti che si potrebbero così suddividere:
- autoctone (riti legati alla coltura del riso, visti come momenti di raccoglimento in cui la comunità invoca l’energia della divinità per propiziare il raccolto)
- provenienti dal continente (processioni mascherate o rappresentazioni danzate che inscenano “parabole” a sostegno della dottrina buddhista, introdotta dalla Cina intorno al 532 d.C.)
Degno di una menzione particolare è il Sengaku (chiamato poi Sarugaku), una mescolanza di arti varie introdotte dalla Cina: danza, mimica, imitazione, prestidigitazione, manipolazione di burattini, arti circensi. La compagnia di Sarugaku di Yamato (una provincia del Giappone corrispondente all’attuale zona della prefettura di Nara), cui appartenevano Kan'ami Kiyotsugu e il figlio Zeami Motokiyo, ottenne il riconoscimento ufficiale presso la corte nel 1375, in seguito all’approvazione dello shogun Ashikaga no Yoshimitsu. Da questo momento in avanti il Nō, che del Sarugaku ha sviluppato soprattutto il canto e la danza, raggiunge il suo massimo splendore, grazie soprattutto al genio di Zeami, che nei suoi trattati ne definisce i principi estetici.

Un esempio della disposizione sul palco
di coro, attori e musicisti


L’uso di maschere è testimoniato in quasi tutte le culture primitive, quando la loro funzione principale era quella di rappresentare durante i riti esseri divini o demoniaci: un riflesso, questo, della credenza che le divinità avessero corpi e tratti simili a quelli umani, seppur certamente dotati di caratteristiche e poteri sovrannaturali. L’uso della maschera fiorisce e sopravvive tuttora in Giappone, benchè sia originariamente giunta anch’essa dal continente. Tra le forme spettacolari più antiche che ne prevedevano l’uso figurano:
- il Gigaku, originario di un regno della Cina centrale chiamato “Wu” (=”Go”), consistente in una processione all’aperto il cui fine era quello di manifestare la forza della nuova religione (il Buddhismo). Di dimensioni tali da coprire l’intero volto, le maschere di questo genere presentavano profili e fattezze provenienti dall’Asia Centrale, tratti realistici ed erano intagliate nel legno, per poi essere ricoperte di strati sovrapposti di lino e lacca;

"Goko" ("Sovrano del regno di Go")

- il Bugaku, danze e musiche introdotte da India, Cina, Corea, Sud-Est Asiatico, unitamente a una parte di repertorio autoctono; più piccole, leggere e dalle espressioni simboliche, queste maschere sono le uniche dotate di parti mobili (occhi che si muovono in su e in giù, mandibola che si apre e si chiude, naso che gira a destra e sinistra, capelli che si muovono, guance che si alzano e abbassano);

"Nasori", di origini coreane oppure indiane (Java)

- il Gyodo, una cerimonia ancora oggi praticata, le cui maschere sono piatte e non particolareggiate, spesso riproduzioni di statue buddhiste;

"Bosatsu", dall'espressione solenne, usata nella cerimonia Raigo

- lo Tsuina (oggi Setsubun), la cui funzione è quella di scacciare i demoni alla vigilia dell’equinozio di primavera tramite lo spargimento di fagioli. Attualmente è rimasta in uso soltanto la maschera oni (=demone).

"Oni"

È nel Nō che la maschera raggiunge la perfezione e diventa propriamente una forma d’arte: realistica ma non troppo, dall’espressione per così dire “neutrale”, che varia cioè anche a seconda della luce e degli spostamenti dell’attore sul palco (così da permettere la rappresentazione di un maggior numero di emozioni), con un peso e una misura ridotti al minimo, viene realizzata da un intagliatore specializzato che doveva conoscere profondamente l’intera natura del Nō stesso (quelle precedenti erano spesso opera degli stessi intagliatori di statue buddhiste). 
A seconda della loro struttura interna, dei temi affrontati e dei personaggi che vi compaiono, i drammi sono suddivisibili in cinque categorie: 
- wakinō, o nō di divinità, dalla funzione augurale e propiziatrice di pace e prosperità;
- shuramono, drammi di guerrieri che rievocano la propria morte in battaglia e lamentano un attaccamento alla propria fama o all'arte poetica;
- kazuramono, aventi per protagonisti personaggi femminili tratti dalla letteratura classica di periodo Nara o Heian;
- yobanmemono, letteralmente "drammi del quarto tipo", spesso nō di follia;
- kirinō, vivaci e brillanti, in cui compaiono esseri alieni provenienti da altri mondi.
Lo stesso dicasi per le maschere, che raffigurano divinità, uomini (giovane, vecchio o eroe della letteratura epico-guerresca), donne, persone folli (per il dolore o per la gelosia) e demoni/creature fantastiche. Di seguito ve ne illustrerò alcune!

"Shikami", usata per rappresentare
divinità arrabbiate o spiriti malvagi



La maschera sottostante, quella dello "Okina", presenta una somiglianza molto netta con la maschera Gigaku "Taikofu" e la maschera Bugaku "Saisoro", della quale mantiene il "kiriago", la mandibola mobile.


"Okina"


"Saisoro"

Una maschera che senz'altro avrete già visto è quella dello "Hannya": una delle più grandi e paurose, rappresenta il fantasma o lo spirito di una donna un tempo bella, ma piena di risentimento e gelosia.


"Hannya"

"Yaseotoko" e "Yaseonna" rappresentano rispettivamente un uomo e una donna consumati dall'attaccamento a una passione ossessiva che, data l'incapacità di giungere ad una liberazione da questa, genera sofferenza anche dopo la morte.

"Yaseonna"

"Yaseotoko"

La "Wakaonna" e la "Koomote" incarnano al meglio l'espressione di giovanile bellezza e graziosità, la prima dal mento più corto e la fronte leggermente più alta, la seconda dalla guance piene e il mento più allungato.

"Wakaonna"

"Koomote"


Vi lascio con la maschera dell'"Aku no Jō", che presenta nuovamente l'influsso delle maschere Bugaku e Gigaku e viene usata per il ruolo di divinità terribile.


"Aku no Jō"

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